Auguste Vestris


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9 juillet 2011, onzième et dernière soirée : La Classe de Vestris

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Crédo chorégraphique
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L’Ispirazione di Bournonvile tra Francia e Italia
da Francesca Francone,
Professore di teoria, Accademia Nazionale di Danza, Roma

9 luglio 2011

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Luglio 2011

Sono trascorsi oltre sessant’anni da quando la compagnia del Balletto Reale danese fece la sua prima tournée all’estero esibendosi a Edimburgo durante un importante Festival internazionale estivo di Danza. In quella occasione si rivelò per la prima volta al pubblico e alla critica un patrimonio coreografico di straordinario valore che emergeva come per incanto dalla tradizione ottocentesca dei Vestris e dei Gardel, e dunque dalla stagione più preziosa della danza francese. E questo piccolo, grande tesoro era stato nutrito nella sola Danimarca.

Si trattava di un repertorio coreografico creato dal maestro e coreografo danese August Bournonville (1805-1879) e trasmesso con passione e cura da generazioni di maestri e allievi.

Grazie anche all’accorta opera promozionale del Balletto reale danese, che in Scozia ha preso coscienza, forse per la prima volta, del grande privilegio che aveva avuto, si sono moltiplicate le opportunità di esibirsi all’estero, ma anche di farsi centro propulsore per festivals, conferenze, stages, pubblicazioni, ricostruzioni di balletti che, sommate alle creazioni di Bournonville, tramandate di maestro in maestro, consistono oggi di circa 1/5 della totale produzione bournonvilliana.

Bournonville, che ha conferito al balletto romantico dell’epoca una connotazione tutta personale, era figlio di Antoine, un ballerino francese, allievo di Noverre, ma che aveva avuto come colleghi i grandi interpreti della stagione preromantica dell’Opéra di Parigi, come Vestris, Gardel, Aumer e Nivelon.

Parigi, che allora costituiva il centro propulsore della danza teatrale, era il luogo prescelto dai giovani ballerini che volevano approfondire e rifinire la loro formazione nella danza accademica. Il giovane Bournonville che si era trasferito a Parigi nel 1824, aveva avuto il privilegio di debuttare all’Opéra nel 1826.

Secondo il critico francese Jules Janin che assisterà ad una sua più tarda esibizione (1834), Bournonville era “flessibile e forte” e dotato di uno stile non ostentato ma “moderato negli slanci”.

Christian Christensen en Monsieur Dufour, dans Le Conservatoire en 1909
Il devint le premier professeur de Hans Brenaa

Richiamato nel 1830 a Copenhagen per dirigere il ballo e creare le coreografie per il suo teatro, abbandonò la carriera di danzatore nel 1848 per dedicarsi esclusivamente all’insegnamento, alla coreografia e alla stesura delle sue memorie, Mit Theaterliv (un excursus sapiente e ironico su persone, fatti e luoghi dei suoi tempi), nonché di opuscoli e di testi tecnici e teorici che riguardano i diversi aspetti della danza e che rivelano un animo colto e sensibile, dotato di una realistica percezione del suo tempo.

In particolare i suoi Etudes Chorégraphiques del 1848, 1855 e 1861 raccolgono il suo testamento teorico, le sue riflessioni sulla tecnica, sullo stile, sulla terminologia, sul modo di trasmettersi della danza. Per lasciare ai posteri una traccia del suo operato, Bournonville, come molti maestri dell’epoca, primo fra tutti Blasis, si è abbandonato nel corso della sua vita ad una fitta produzione di lettere, note, trascrizioni di passi e descrizioni di azioni mimiche di balletti, anche attraverso il suo sistema stenografico di scrittura della danza.

Rimane oggi estremamente attuale il grido di allarme lanciato da Bournonville contro la decadenza della danza in Francia alla metà dell’Ottocento e l’appello al recupero dei principi dei grandi maestri, come Vestris e Gardel, che hanno segnato il periodo aureo della danza a Parigi. A parere di Bournonville l’insegnamento della danza, soprattutto all’Opéra, non fondava più sui principi di “scuola” ma si disperdeva nell’imitazione dei vezzi e delle maniere delle ballerine di grido di allora, basandosi su un allenamento routinario e svuotato dei contenuti di base.

Fautore di un sistema di insegnamento unitario, fondato sulla progressività degli studi e sulle metodologie monitorate ai vertici, Bournonville condannava i maestri che insegnavano, suonando il violino e che perciò non seguivano l’allievo con la giusta attenzione che la loro formazione riservava.

Contro le degenerazioni dell’allenamento basato su esercizi lunghi ed estenuanti e sulla frammentazione del corpo, grazie alla quale il ballerino credeva di sviluppare il virtuosismo, Bournonville era fautore invece di una visione olistica del corpo, che teneva conto dell’armonia psicofisica della persona.

Per cui a suo avviso potevano essere sufficienti solo due ore di allenamento al giorno, purché fatto con consapevolezza di corpo e spirito. In questo andava contro le abitudini del tempo che miravano ad un esercizio quotidiano sino a un massimo di12 ore con le gravi conseguenze di serie malattie o di morte per consunzione, com’era avvenuto rispettivamente a Louis Duport e a Geneviève Gosselin.

Grande è l’attenzione riservata da Bournonville allo “sguardo eloquente” del ballerino, vera “espressione dell’anima”. Si prenda ad esempio una posa tipica della ballerina bournonvilliana in effacé derrière con gli occhi volti verso il piede della gamba libera indietro. Non potrebbe essere questo un esempio perfetto del raccordo che esiste tra parte superiore (testa, sede del pensiero) e parte inferiore (piedi, sede del movimento e del gesto)?

L’espressione dello sguardo, uno sguardo vivo che comunica e che parla di sé, costituiva secondo Bournonville una parte preponderante dell’allenamento del danzatore. Avere uno sguardo tranquillo, sereno e partecipe dava l’opportunità, secondo Bournonville, di elevare lo spirito dello spettatore e di coinvolgerlo cinesteticamente. Una esecuzione che esaltava solo la meccanica e la ginnica, che si accompagnava spesso a contorcimenti del corpo e a smorfie del viso, disperdeva le energie del ballerino in sforzi inutili e concentrava l’occhio dello spettatore esclusivamente sulle possibilità articolari della danzatrice.

L’interpretazione data da Bournonville al termine aplomb è emblematica a questo proposito. Superando il concetto di allineamento posturale (come nelle teorie della danza del ‘700) insito in questo termine, l’aplomb è realizzato grazie alla consapevolezza interiore del movimento e al modo con cui questo si comunica allo spettatore.

Nell’ambito delle categorie del movimento messe in luce da Bournonville, nel tentativo di recuperare l’identità storica della danse d’école, uno spazio privilegiato hanno i concetti di légéreté ed élévation, che poi sono state privilegiate da tutto il balletto romantico. Il ballerino di allora, come testimonia Bournonville, riusciva a saltare sino a un metro da terra! Ma ciò che contava nella elevazione a suo parere non era la distanza dei piedi che si staccano da terra, quanto quella della testa che si separa dal soffitto! Come scrive nei suoi Etudes del 1848: “Sauter haut et rebondir n’est pas encore avoir de l’élévation, il faut s’enlever et descendre en dessinant une attitude noble et gracieuse et savoir distinguer le danseur du sauteur.”

Analizzando le due categorie di vigueur e brillant, concetti che Bournonville attribuisce alla danza maschile, il maestro ricorre alla “flessibilità” e alla “elasticità”, attraverso cui si sviluppa la forza, ma non la rigidità. Dare valore a questi due concetti per Bournonville contribuisce a restituire al danzatore maschile, relegato al ruolo di semplice porteur, quella dignità dei tempi d’oro della danza francese. Fervido sostenitore della danza dell’Opéra, Bournonville sferzò duramente la danza italiana, colpevole a suo parere di puntare su effetti straordinari ed acrobatici. In realtà Bournonville aveva capito che l’asse della danza stava a quei tempi spostandosi dalla Francia all’Italia e faceva appello a tutte le risorse della danza maschile, che vedeva indebolirsi sempre più in Francia. Lui stesso conferì nelle sue coreografie alla danza maschile un ruolo importante, in ciò differenziandosi da ciò che accadeva in Francia.

Ma quanto Bournonville, che pure ricevette un’educazione francese alla danza, fosse debitore della danza italiana è ancora tutto da scoprire. E’ indubbio che egli abbia subito l’influenza della mimica italiana che era radicata in Danimarca da lungo tempo grazie all’operato di maestri italiani, tra cui annoveriamo soprattutto Vincenzo Galeotti che ebbe il merito di portare la danza teatrale in Danimarca ad uno standard assai elevato, grazie alla sua opera incessante di maestro e di coreografo di ben 40 balletti. Il fatto poi che le pantomime dell’italiano Casorti ancora oggi sopravvivano nel teatro Pantomima Tivoli a Copenhagen la dice lunga sulla considerazione che i danesi hanno riservato alla pantomima italiana che proveniva dalla migliore tradizione delle compagnie itineranti degli attori della commedia dell’arte.

Bournonville, nel tentativo di esaltare nelle sue memorie il proprio operato, mettendo in ombra il lavoro svolto dai suoi predecessori, ha involontariamente condizionato gli storici della danza attuali, che non si sono soffermati abbastanza sugli elementi dello stile italiano, in particolare riguardanti la mimica, che si sono sedimentati nella scuola bournonvilliana.

L’ispirazione italiana era presente ad esempio nei quadri creati dai pittori dell’epoca d’oro danese, la cui esibizione a Charlottenborg negli anno trenta dell’800 aveva dato vita ad una vera e propria moda nei confronti del pittoresco in Italia, che fu poi il paese da cui Bournonville trasse le idee per alcuni dei suoi balletti più riusciti: Festa ad Albano, Napoli, Infiorata a Genzano e i meno conosciuti Pontemolle e Raphael. Se le qualità mimiche del danzatore danese sono oggi riconosciute in tutto il mondo è pur vero che la tradizione mimica vantava in Italia nell’Ottocento una grande tradizione consolidata da validi insegnanti come Annunciata Ramaccini, la moglie di Blasis alla Scala di Milano o Gaetano Gioja al San Carlo di Napoli.

Un raffronto con il grande poeta del coreodramma italiano, Salvatore Vigano, che Bournonville non conobbe personalmente ma di cui forse sentì l’eco della sua fama durante i suoi viaggi in Italia, potrebbe conferire una nuova luce agli studi soprattutto quelli che riguardano la mimica tragica che Bournonville usò nei suoi balletti a sfondo storico mitologico come Waldemar o Thrymsquiden.

Per questo considero il testamento didattico e coreografico di Bournonville a buon diritto come una sorta di patrimonio dell’umanità e come tale è bene che vada preservato negli anni a venire con quella cura e attenzione che devono essere riservate ad opere fragili e preziose.

Forse così anche le generazioni future potranno attingere ai principi che furono dei grandi maestri della tradizione francese e italiana della danza d’arte, di quell’arte che fa della danza una espressione poetica e non una mera esercitazione ginnica.


Bibliografia:

Etudes Chorégraphiques (1848, 1855, 1861). August Bournonville. A cura di Knud Arne Jürgensen e Francesca Falcone. Testo trilingue - italiano, inglese, francese. Lucca, LIM, 2005. ISBN 978870964019. 330 pagine.

Il Balletto Romantico, Tesori della collezione Sowell. Madison U. Sowell, Debra H. Sowell, Francesca Falcone, Patrizia Veroli. Presentazione : José Sasportes. Ed. L’Epos, Palermo. 241 pagine. ISBN : 978-88-8302-301-9. Dépôt légal : 2007.